Castello Sandoval
E' facile abbandonarsi all'eco della storia tra le mura del castello di Bollita. Chi abbia fatto costruire il castello e quando si ignora, secondo alcuni studiosi la costruzione risale al X secolo, secondo altri al XIV secolo, comunque, trattasi, di un palazzone eretto su fondazioni naturali con un vasto atrio ed un muro altissimo davanti, su cui vi sono molte feritoie; si tratterebbe, dunque, di una struttura difensiva che posta sul punto più alto del paese domina la valle sottostante.
E' questa la tesi più accreditata, quella sostenuta anche dall'arch. F. Chiarella, che ha ravvisato proprio in una delle costruzioni interne al castello la preesistenza di una torre. Tale costruzione, adibita a semplice abitazione privata, all'inizio del 1900 divenne di proprietà del sig. Giovanni Buongiorno. Essendo abitato, il castello ha subito una serie di rimaneggiamenti, tali da perdere quasi ogni sua caratteristica originaria: merli, torri, bastioni, comunque, sono rimasti intatti il portale, i muri perimetrali, una lapide marmorea visibilissima del duca F. Crivelli e un serbatoio d'acqua, sottostante all'atrio del castello che serviva per l'approvvigionamento di acqua. Infatti, non a caso, tutte le grondaie del castello erano collegate tra loro e andavano a scaricare l'acqua piovana in un pozzo posto sul muro sinistro del castello di proprietà della famiglia Orioli, oggi Ripa, a cui era collegata la menzionata cisterna.
E' da far rilevare che sotto il castello e precisamente dalla parte che si estende dal palazzo Nolfi, posto in piazza Dante fino al fabbricato della famiglia Cospito, sono presenti lamie che si intersecano fra loro e che risalgono al primo Medioevo, all'anno 1000 circa.
L'importanza del castello, era data anche dal ruolo che venne riconosciuto a Bollita in questi anni, infatti era tra i quattro maggiori paesi insieme a Oriolo Calabro, Tursi-Anglona e Montegiordano.
Le prime notizie storiche del castello risalgono alla metà del 1400, quando Bollita divenne feudo dei Sanseverino di Bisignano, discendenti di una famiglia di origine normanna, i quali seguirono l'esercito di Roberto il Guiscardo nel 1045 e da cui ebbero la contea di Sanseverino. Nel 1501 il re di Napoli, Federico III D'Aragona tolse a Guglielmo Sanseverino di Bisignano, conte di Capaccio, molti feudi calabresi, tra cui anche Bollita, (Bollita, allora, faceva parte della Calabria Citra), perché reo di aver sostenuto la discesa di Carlo VIII nel regno di Napoli. Nel 1505 Pietro Sandoval de Castro, regio capitano d'armi, castellano di Cosenza e Governatore generale della Calabria, ebbe dal re Ferdinando il Cattolico, come premio per meriti di fedeltà, il feudo di Bollita "con il suo castello gli uomini e di vassalli,col puro comando ed il banco di giustizia e con la cognizione delle prime cause". Dieci anni dopo, Pietro de Castro sposò una nobildonna napoletana, Giovanna, figlia di D. Francesco de Castel Bisbal, Signore di Briatico, Calimera e San Calogero. Questo matrimonio è documentato da un atto redatto su pergamena dal notaio Bartalomeo Levato di Taverna e recante la data del 16 aprile 1515, nel quale si legge che il De Castro dava in garanzia della dote della futura sposa, di 8000 ducati, l'obbligazione del castello di Boleto, (altro nome con cui veniva indicato Bollita, nell'epoca in cui faceva parte del regno di Napoli). Dopo un anno, da quel matrimonio nacque un figlio che fu chiamato Diego come il nonno paterno, era valente nelle armi, discreto poeta presso la corte di re Alfonso D'Aragona a Napoli, ricco, di bella presenza e conte di Castro. Diego Sandoval fu poeta come il nonno ed aveva sposato una nobildonna napoletana, Antonia Caracciolo, che risiedeva nel castello di Bollita con i figli, dei quali si conoscono i nomi di tre (Pietro, Francesco e Lucrezia) e riceveva raramente le visite del consorte, che reggeva la Castellania di Cosenza, che tenne dal 9 aprile 1532 fino al 13 luglio 1540 quando venne sostituito dal magnifico Pietro Ortes. Non si è mai saputo perché il Sandoval venne privato dell'incarico, peraltro ereditato dal padre. Sordo agli inviti della Gran Corte per discolparsi, il De Castro fu costretto a girovagare per l'Italia "bannuto e contumace”. Dopo essere stato a Firenze e a Roma si era stabilito a Benevento, terra per rivedere la famiglia , da dove di tanto in tanto, a proprio rischio, veniva a Bollita.
Fu certamente per tale circostanza che fece conoscenza con Isabella Morra feudataria della vicina Favale, l'odierna Valsinni.
Bollita dopo essere stata a lungo del De Castro, passò al barone Francesco Antonio Asprella di Montalbano; alla cui morte, avvenuta il 12 febbraio 1586, gli successe la figlia Lavinia maritata a Prospero Carbone. Tra i pesi da dedurre dall'entrate feudali figuravano annui ducati 180 a favore di Antonia Caracciolo e del figlio Francesco Sandoval De Castro per capitale di ducati 2000 mediante cautele vallate e Regio Assenso. Suo erede fu suo figlio Pietro, gli successe nel 1620 Francesco Raimondi che ebbe come tutore lo zio Geronimo fino alla maggiore età. Nel 1632 vendette la terra di Bollita a Pietro Reviglione, sposato con Giulia Vitagliano, ebbe diversi figli: Vincenzo, Carlo, Francesco, Silvio, Gennaro, Giovanbattista ed Emilio. Essendo abate il primogenito non potè, né volle succedere al padre, tanto che alla sua morte, avvenuta il 15 febbraio 1647, gli subentrò nel feudo il secondogenito Carlo; ed alla morte di questo,
l'altro fratello Francesco. Da questa famiglia, Bollita passò al duca di Rocca Imperiale Alfonso Crivelli nel 1717. Alla sua morte gli successe il figlio Francesco e nel 1781, ultimo signore di Bollita, fino all'abolizione della feudalità, il figlio Alfonso, aiutante di campo e grande scudiero di Ferdinando I di Borbone. Nel 1872 con Regio Decreto di Vittorio Emanuele II, Bollitadivenne Nova Siri in onore dell’antica Siri, su proposta del consiglio comunale.
Bibliografia
Stigliano C.(2004), Nova Siri … Un Viaggio nel ricordo, Archivia Editore